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Descrizione

Il nome Melazzo si ravvisa, a partire dall'anno 991, con le forme derivanti dall'aggettivo "MELACEUS", nelle varianti "Melacius", "Melagius", "Melaxus", "Melazius" e con "Melaz" (quest'ultimo di chiara matrice dialettale).

In epoca romana il territorio era percorso da un cunicolo che portava le acque del torrente Erro all'acquedotto romano di cui restano visibili tracce al Acqui Terme.

Ebbe i suoi natali in Melazzo San Guido d'Acqui, città nella quale fu vescovo dal 1034 al 1070.
Questi donò i propri diritti signorili alla chiesa di Acqui, la quale ne ottenne conferma del possesso nel 1039 e successivamente nel 1052 dall'imperatore Enrico III.

Nel XIII secolo divenne possedimento dei marchesi del Bosco, i quali lo cedettero presto, rivendicandone però l'investitura, al comune di Alessandria. Quest'ultimo, occupandone il castello e le torri, causò dure ma inutili proteste da parte del centro acquese.
Entrata a far parte dei domini dei marchesi del Monferrato, subì, nel 1431, i saccheggi delle truppe di Francesco Sforza.

Melazzo fu feudo della diocesi di Acqui verso il mille. Passò poi dalla Chiesa d'Acqui al Comune e successivamente ai Marchesi del Monferrato. Nel 1500 troviamo signori a Melazzo la famiglia Falletti.
Il feudo fu poi comprato dal duca di Mantova e del Monferrato che lo diede ai Gandolfi, marchesi di Melazzo e di Ricaldone, la cui famiglia era molto legata alla Casa Savoia. Nel XVI secolo il castello fu distrutto dagli spagnoli e ricostruito successivamente dai Gandolfi.
L'ultimo dei Gandolfi, Giuseppe Accellino, lasciò in eredità tutte le sue proprietà di Melazzo alla famiglia Roberti.

Otre al suddetto castello Gandolfi, cinto da alte e massicce mura, sono numerose le testimonianze del passato di Melazzo: la chiesa di San Defendente; l'oratorio di San Pietro Martire, risalente al XV secolo; la parrocchiale di San Bartolomeo, del 1759, conservante un dipinto di Guglielmo Caccia; la chiesa dell'Annunziata, eretta nel 1783; il fortilizio ottagonale detto di Tinassa, del XIV secolo; la chiesa di San Felice e quella di San Secondo, caratterizzata, quest'ultima, dalla bellissima abside semicircolare, legata storicamente al processo di riorganizzazione della diocesi acquese attuato da San Guido.
L'omonima pieve di San Bartolomeo, non più esistente, si trovava nel fondovalle tra il rio Caliogna e il torrente Erro.


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